Referendum Catalogna: Riflessioni.

Referendum Catalogna: Riflessioni.

Il 1° Ottobre 2017, si è consumato ciò che molti temevano: lo strappo della Catalogna, ricca regione a Nord Est della Spagna ai confini con la Francia.
E’ stato, il 1° Ottobre 2017, il culmine, l’apice di una richiesta di indipendenza che è montata con forza negli ultimi anni,, soprattutto nell’ultimo lustro, ma che ha origini lontanissime.
Per il Popolo Catalano, una data sacra, ma anche la più funesta è l’11 settembre 1714, giorno della Diada Nacional de Catalunya (o semplicemente Diada) che rappresenta il giorno di festa nazionale della comunità autonoma della Catalogna,e viene celebrato l’11 settembre di ogni anno.
In quel giorno infatti si commemora la caduta di Barcellona nelle mani delle truppe borboniche di Filippo V di Spagna comandate dal duca di Berwick durante la Guerra di Successione Spagnola l’11 settembre 1714, dopo 14 mesi d’assedio e la regione divenne Spagna a tutti gli effetti. Domenica 1 ottobre è stata invece indicata da molti catalani come la giornata della rinascita, la fine di un giogo di tre secoli.
Questo il peso che la maggior parte degli indipendentisti attribuisce al referendum, indetto, bisogna dirlo, unilateralmente dalle istituzioni di Barcellona.


Un voto attorno a cui da giorni per giorno si sono addensatie nuvole minacciose.
Già tre anni fa la Catalogna aveva cercato di indire unaa consultazione popolare per dare forza alle proprie mire separatiste, ma fu bloccata dal Tribunale costituzionale spagnolo.
Davanti a questo nuovo tentativo di forzare la mano, il Governo Centrale di Madrid ha risposto prima con l’arresto di 14 persone legate al governo locale e l’invio della polizia, con il mandato di impedire le votazioni e poi come ben sapete, all’invio di una massiccia presenza di “Guardia Civil”, la polizia spagnola, che è intervenuta con la forza in centinaia di seggi elettorali per impedire lo svolgimento del referendum di indipendenza catalano.
Ma la mossa di Madrid, a nostro modestissimo parere sconsiderata e poco lungimirante, non ha fermato il voto.
Infatti alla repressione violenta della polizia, migliaia di persone hanno risposto andando a votare sfidando il divieto imposto da Madrid.
Le cariche degli agenti anti-sommossa, che hanno usato contro civili riuniti pacificamente a difesa dei seggi manganelli, pallottole di gomma e lacrimogeni, hanno provocato oltre 844 feriti.
Le immagini della violenza degli agenti spagnoli, dei volti insanguinati dei civili, di anziani colpiti dai manganelli, hanno fatto il giro del mondo provocando incredulità e condanne.
L’indipendentismo catalano è un fenomeno antico, che ha ragioni storiche, sociali ed economiche.
Fino al 1714, come dicevamo, – una data ricordata anche dai tifosi blaugrana, che al minuto 17 e 14 delle partiti sono soliti intonare cori per l’indipendenza – il territorio ha sempre goduto di una larga autonomia, nella frammentata penisola catalana.
Oggi il catalano, lingua neolatina con i suoi vari dialetti, è parlato da circa 9 milioni di persone. La sua nascita risale al periodo tra il VIII e il X secolo, dal 1978 affianca l’idioma nazionale nella regione e dal 2005 è riconosciuta come co-ufficiale, accanto al castigliano, dall’Unione Europea. Nel corso del XII secolo l’allora contea entrò a fare parte del regno di Aragona, divenendo un principato e mantenendo il proprio governo locale. Era l’epoca della Reconquista, e i confini continuavano a cambiare.
Nel XV secolo la Corona di Aragona e quella castigliana si unirono, grazie al matrimonio dei rispettivi sovrani. La futura Spagna era, però, tutt’altro che un regno unito. Almeno fino agli Asburgo e a Filippo II, il cui obiettivo era quello di creare un Paese moderno e unito, a discapito delle rivendicazioni di ciascun territorio.
Nel corso del ‘600 il malumore della popolazione locale, e la duratura presenza delle truppe castigliane lungo i Pirenei per la Guerra dei Trent’anni, portò a sollevazioni, e la Catalogna divenne terreno di scontro tra la Francia e Madrid, visto che era una straordinaria potenza coloniale.
Tra il 1713 e il 1714 Barcellona fu posta sotto assedio, ai margini della Guerra di Successione, e dopo 14 mesi, con la sconfitta della Coronela, l’esercito catalano, la regione finì nelle mani dei nuovi regnanti: i Borboni.
Da quel momento, quella catalana è una storia di insofferenza nei confronti della corona. Da qui venivano molti degli avversari di Primo de Rivera, generale autore di un colpo di Stato nel 1923, e otto anni dopo Francesc Macià, approfittando delle difficoltà del governo centrale, di nuovo democratico, proclamò la nascita della Repubblica di Catalogna, che, dopo una lunga trattativa con Madrid, lasciò il posto alla Generalitat de Catalunya, che ancora oggi è la forma di governo della regione, che gode di significative autonomie. Con Francisco Franco le cose precipitarono. Il dittatore avversò in ogni modo gli amministratori locali e le loro richieste di autonomia, mise fuori legge i simboli, a cominciare dalla giallorossa bandiera Estelada, e la lingua catalana. Molti episodi della resistenza antifranchista in Spagna sono ambientati proprio in questa regione, come la guerriglia di Francisco Sabaté Llopart, el Quico.
In Catalogna, che nel frattempo è divenuta una delle aree più ricche del Paese, grazie anche alla propria vocazione turistica, non si sviluppò un movimento armato forte e duraturo come l’Eta nei vicini Paesi Baschi, con cui l’area condivide molte rivendicazioni, ma l’anelito indipendentista non si è mai sopito, nemmeno con il ritorno della democrazia e con i due statuti successivi alla morte di Franco, nel 1978 e 2006, che hanno consolidato la diversità, anche istituzionale, della regione, che, insieme ai Paesi Baschi, è quella che gode di più libertà, con una propria polizia (Mossos d’Esquadra) che è la più vecchia polizia d’Europa.
Sin dagli anni Venti esistono partiti politici apertamente indipendentisti. Prima Artur Mas e poi l’attuale presidente della Generalitat Carles Puigdemont sono stati alla guida di governi di Convergencia, creatura politica nata attorno al grande federatore e storico leader catalano Jordi Puyol, che riunisce, da destra a sinistra, e secondo varie sfumature di radicalismo, le formazioni indipendentiste.
La tendenza degli ultimi anni, che è stata, seppur non riconosciuta ufficialmente, confermata dalle urne, ed ha visto l’incrementarsi del consenso nei confronti di autonomisti e separatisti, oltre che per la crisi economica degli ultimi anni che ha dato nuovi argomenti a chi vorrebbe mollare Madrid anche dall’infausta decisione del primo ministro Rajoy di contrastare con la forza la consultazione del 1° Ottobre scorso.
Infatti, oltre alle questioni storiche, che sono come abbiamo visto “ataviche” e molto radicate nella popolazione, in questa vicenda non sono assolutamente secondarie le motivazioni finanziarie.
La Catalogna è, dopo l’Andalusia, la seconda comunità autonoma più popolosa della Spagna, con circa 7 milioni di abitanti (e 5,5 milioni di “potenziali” elettori per il referendum), ed è quella con l’economia più in salute.
L’ex Presidente della Catalogna dal 2010 al 2016, Artur Mas era uso dichiarare:“Se fossimo indipendenti, saremmo il settimo Paese più ricco d’Europa”. Il pil catalano infatti, rappresenta circa il 20% di quello nazionale, con un tasso di crescita del 3,5 % annui con un’economia in crescita.
Molti denigratori e detrattori delle richieste catalane dicono che è la solita Barcellona “pesetera”, che guarda unicamente ai soldi.
Ma le questioni identitarie comunque esistono e, come abbiamo visto, hanno contato.
Il bilinguismo è una bandiera a cui la Catalogna non ha mai voluto rinunciare, e attorno a cui si sono sviluppate una letteratura e correnti artistiche.
E, soprattutto, c’è il calcio. I trionfi in Spagna e in Europa del Barcellona, che ha riprodotto sul rettangolo verde la feroce rivalità con Madrid, hanno dato nuova linfa al “catalanismo”. Personaggi come Guardiola e Piquè, che ha dapprima dato il proprio appoggio al referendum e poi si è recato a votare, dichiarandosi disposto anche a rinunciare alla nazionale, sono diventati dei simboli, e contribuiscono a dare appeal a quella che, decisamente, non è più solo una questione locale.
Come abbiamo visto quindi, c’è un intreccio di interessi che vanno dalla questione identitaria alla questione finanziaria, dalla questione di orgoglio fino a sfociare nella questione sportiva.
Ma c’era un modo per evitare questo muro contro muro?
C’era un modo per “disinnescare” l’enorme potenzialità insita in questo referendum?
A nostro modestissimo parere, e lo abbiamo dichiarato in tempi non sospetti, l’unico modo era accettare il referendum, ESTENDENDOLO a tutta la Spagna.
Perchè se è vero che c’è “l’Autodeterminazione dei popoli”, è anche vero che esistono delle Costituzioni che vanno rispettate. Oltretutto, la Catalogna dopo aver firmato la nuova Costituzione nata dopo il Franchismo nel 1978, ha ottenuto ed ottenuto il massimo dell’autonomia possibile nel 2005.
Purtroppo, il Governo Rajoy, debolissimo, non ha saputo dare quella risposta di buon senso che avrebbe evitato scene di violenza viste da tutto il mondo.
E’ sempre brutto quando i cittadini inermi che volevano esercitare il diritto di voto, subiscono violenza gratuita da chi li dovrebbe difendere.
Molti chiedono, ma sarà così anche per i referendum indetti dalla Lombardia e dal Veneto?
No, perchè questi referendum si inseriscono nel quadro della rifirma costituzionale voluta dal centrosinistra nel 2011.
il terzo comma dell’art. 116 riconosce infatti alle Regioni a Statuto Ordinario la possibilità di accedere a condizioni differenziate di autonomia.
Il Veneto voleva inizialmente sottoporre a consultazione anche una serie di quesiti di natura fiscale, dichiarati però olleggittimi dalla Consulta che ha approvato so l’ultimo, cioè quello che sarà sulla scheda.
Con questo Referendum, la Regione Lombardia chiede di “Intraprendere le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l’attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 116 – terzo comma”.
Praticamente di intravolare una trattativa per ottenere la gestione di quante più materie possibili di quelle che la Costituzione indica come “concorrenti”.Cioè regionalismo differenziato.
Questo anche per la Regione Veneto, anche se il quesito si differenzia” Vuoi che alla Regione Veneto siano attribuite ulteriori forme e condizioni di autonomia?”
Quindi, come avete potuto constatare, si chiederà solo più autonomia su alcune materie e non di diventare indipendenti.

Andrea D’Ascanio
www.parlamentovirtuitaleitaliano.it

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